Arci Jesi-Fabriano


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Referendum no-triv: oltre il quesito

di Marzio Galeotti e Alessandro Lanza, lavoce.info
(www.lavoce.info/archives/40517/referendum-notriv-oltre-il-quesito/)

Lo scontro sul referendum “no-triv” ruota intorno a visioni e scelte diverse che investono la politica energetica e ambientale del nostro paese. La produzione interna di idrocarburi è esigua rispetto al fabbisogno. L’importanza delle rinnovabili e la ricerca di alternative al petrolio nei trasporti.

Il tema del referendum

Come è accaduto per altre, precedenti, consultazioni popolari, anche quella del 17 aprile sta assumendo una valenza che va molto oltre il significato del mero quesito referendario. Si è infatti acceso un dibattito intorno al referendum “no-triv” che divide la politica e l’opinione pubblica.

Il fatto è che questo referendum implica una scelta di prospettiva, di visione, di valori differenti, se non addirittura opposti, che investono la politica energetica e ambientale del nostro paese. Ed è la vera ragione per cui un quesito poco significativo assume i contorni di una battaglia civile-economica-politica. Tecnicamente, il quesito riguarda le concessioni per estrazioni di idrocarburi in mare entro le 12 miglia (circa 22 chilometri) e pertiene solo a concessioni già esistenti: la domanda riguarda l’abrogazione della norma che ne limita la durata alla scadenza prevista dalla legge. In pratica, per un numero ristretto di quelle esistenti (sono 21 su 69 in mare) il “no” consentirebbe di sfruttare le concessione fino all’esaurimento del giacimento.

La durata iniziale delle concessioni è di trenta anni, rinnovabile una prima volta di dieci, poi per cinque, quindi per altri cinque anni dopodiché, se il pozzo non è esaurito, il concessionario può chiedere di sfruttarlo fino all’esaurimento. È di questa estensione che stiamo dunque parlando. Continua a leggere


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L’Italia non si trivella: doppio incontro nell’ultimo giorno di campagna prima del voto di domenica

Si chiude domani la campagna referendaria per il SÌ al referendum in programma domenica 17 aprile (dalle 7 alle 23). Arci Jesi-Fabriano parteciperà ai due incontri previsti per domani a Jesi. Il primo si svolgerà alle ore 17 presso la Fondazione Colocci (vicolo Angeloni 3) con il prof. Giorgio Galeazzi, presidente dei Corsi universitari Unimc della sede di Jesi, la prof.ssa Pamela Lattanzi, docente di Diritto agro-alimentare Unimc, e il direttore delle Grotte di Frasassi Luigino Quarchioni.

Il secondo incontro, che sarà introdotto e coordinato da Tullio Bugari di Arci Jesi-Fabriano e Arci Marche, vedrà invece la partecipazione, alle ore 18.15 presso il Palazzo dei Convegni (C.so Matteotti), di Antonio Mastrovincenzo, presidente del Consiglio regionale delle Marche, di Angelo Santicchia, sindaco di Santa Maria Nuova, e di Maurizio Sebastiani, presidente di Italia Nostra Marche. Segue il testo del comunicato stampa.

volantino Continua a leggere


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Sei risposte ai dubbi sulle trivelle

di Marina Forti, Internazionale
(www.internazionale.it/opinione/marina-forti/2016/04/12/dubbi-risposte-referendum-trivelle)

«Il referendum del 17 aprile riguarda l’estrazione di idrocarburi offshore entro le 12 miglia nautiche dalla costa. Dunque riguarda il futuro di 88 piattaforme oggi esistenti entro le 12 miglia, che fanno capo a 31 concessioni a “coltivare” (la coltivazione indica la zona dove una compagnia ha il permesso di estrarre gas o petrolio), oltre a quattro piattaforme relative a permessi di ricerca ora sospesi. Sono in buona parte nell’Adriatico, un po’ nello Ionio e nel mare di Sicilia, come si vede da questa mappa interattiva.

In questione c’è la durata delle concessioni. Il quesito infatti chiede di abrogare la norma, introdotta nella legge di stabilità entrata in vigore il 1 gennaio 2016, che permette di estendere una concessione “per la durata di vita utile del giacimento”, cioè per un tempo indefinito. Se vincerà il sì quella frase sarà cancellata. In tal caso torneremo semplicemente a quanto previsto in precedenza dalla normativa italiana e comunitaria: tutte le concessioni per lo sfruttamento di idrocarburi o di risorse minerarie, a terra o in mare, hanno durata di trent’anni, con possibilità di proroghe per altri complessivi venti.

In altre parole, sarà cancellata un’anomalia. In effetti è insolito che una risorsa dello stato, cioè pubblica, sia data in concessione senza limiti di tempo prestabiliti (ed è per questo che la corte costituzionale ha giudicato ammissibile il quesito). Tra l’altro, è un privilegio accordato alle sole concessioni entro la fascia di 12 miglia, non a quelle a terra o in mare più aperto.

Dunque, se vince il sì le piattaforme oggi in attività continueranno a lavorare fino alla scadenza della concessione (o dell’eventuale proroga già ottenuta), ma non oltre. Certo, in gioco c’è molto di di più. I sostenitori del sì rimandano alla politica energetica del paese, parlano di energie rinnovabili, di investimenti in efficienza energetica. Ma sono accusati di mettere a repentaglio attività economiche e posti di lavoro.

Il referendum è inutile?

Chi si oppone alla consultazione ricorda che la legge di stabilità 2016 ha già bloccato il rilascio di nuovi titoli (permessi) per estrarre idrocarburi entro le 12 miglia. La durata della concessione però non è irrilevante, e ha risvolti molto pratici. Infatti, il blocco di nuove concessioni non impedisce che all’interno di concessioni già esistenti siano perforati nuovi pozzi e costruite nuove piattaforme, se previsto dal programma di lavoro. Potrebbe essere il caso della concessione Vega, nel mar di Sicilia, dove l’Eni progetta da tempo una nuova piattaforma (Vega B) da aggiungere a quella oggi in esercizio (la concessione scade nel 2022).

Ancora più importante: prolungando la durata della concessione si rinvia il momento in cui le piattaforme obsolete vanno smantellate e rimosse. È un’operazione costosa che da contratto spetta alle aziende concessionarie insieme al ripristino ambientale, quindi la spesa dovrebbe essere già inclusa nei bilanci. “Sospetto che le compagnie petrolifere puntino anche a questo, a rinviare in modo indefinito il momento in cui dovranno smantellare piattaforme obsolete”, dice Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia.

Se vince il sì chiuderanno piattaforme operative e perderemo posti di lavoro?

È una delle obiezioni di chi è contrario al referendum. Ma si può confutare. Primo, la vittoria del sì non significa la chiusura immediata di tutte le attività in corso: le concessioni oggi attive scadranno tra il 2017 e il 2034. Il referendum poi non mette in questione le attività di manutenzione né, ovviamente, quelle di smantellamento e ripristino ambientale.

Quanto ai posti di lavoro, i numeri sono incerti. Assomineraria, l’associazione delle industrie del settore, parla di 13mila persone; la Filctem, la federazione dei lavoratori chimici della Cgil, parla di circa diecimila addetti solo a Gela e Ravenna. L’Isfol, ente pubblico di ricerca sul lavoro, parla di novemila occupati in tutto il settore (mare e terra).

Quanti di questi posti siano legati alle piattaforme entro le 12 miglia è opinabile. Il sindacato dei metalmeccanici Fiom Cgil afferma che sono meno di cento. “Considerando l’indotto, arriviamo a una stima massima di circa tremila persone”, dice Giorgio Zampetti, esperto di questioni petrolifere per Legambiente.

Una cosa certa è che le attività sulle piattaforme non sono labour intensive (cioè basate soprattutto sulla forza lavoro). Per lo più sono manovrate in remoto: gli addetti lavorano soprattutto nella fase di trivellazione, ma intervengono ben poco nella produzione (darebbe lavoro, casomai, smantellare i vecchi impianti). Gli attivisti di Greenpeace sono rimasti sorpresi, l’anno scorso, quando sono riusciti ad avvicinarsi alla piattaforma Prezioso, di fronte a Gela nel mar di Sicilia, l’hanno scalata e vi hanno appeso un gigantesco striscione, senza trovare ostacoli né risposta: il fatto è che non c’era proprio nessuno.

Quanto petrolio e quanto gas contengono i fondali italiani?

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Il 17 aprile VOTA SÌ: La verità sui posti di lavoro

da “Le bugie dei trivellatori sui tagli all’occupazione” di Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente (“il manifesto”, 7 aprile 2016)

«…Chi paventa la perdita di posti di lavoro per colpa del referendum non dice che il settore dell’estrazione di gas e petrolio è già in crisi nel mondo e in Italia da diversi anni. A dimostrarlo i rapporti del settore degli ultimi anni o il tavolo di crisi aperto presso la regione Emilia Romagna.

Il 35% delle compagnie petrolifere a causa del crollo del prezzo del petrolio è ad alto rischio di fallimento nel 2016 (rapporto Deloitte), con un debito accumulato di 150 miliardi di dollari. Nessuno si preoccupa di dire che per garantire un futuro occupazionale duraturo bisogna investire in innovazione industriale e in una nuova politica energetica. Negli ultimi decenni si è avuta una consistente diminuzione della produzione da piattaforme in mare senza alcuna strategicità energetica, economica ed occupazionale.

Al contrario il settore delle rinnovabili e dell’efficienza potrebbero generare almeno 600mila posti di lavoro. Centomila al 2030 nel solo settore delle energie rinnovabili, cioè circa il triplo di quanto occupa oggi Fiat Auto in Italia, mentre, al contrario, nel 2015, per un taglio retroattivo degli incentivi, se ne sono persi circa 4mila nel solo settore dell’eolico, 10mila in tutto il settore. A tal proposito ci chiediamo dove fosse il sindacato allora e che senso abbia un sindacato oggi che non ha la capacità di proporre un nuovo lavoro e di capire che la difesa dello status quo è innanzitutto difesa delle lobby del petrolio…»


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“Col pareggio ci perdi”, Arci Jesi-Fabriano invita a firmare presso il Comune di Jesi

logo_pareggio-791x1024La Legge costituzionale n.1/2012 ha introdotto il principio del pareggio di bilancio in Costituzione. Questo significa che ogni anno lo Stato italiano deve spendere unicamente quanto incassa. Un principio sbagliato che impedisce allo stato di fronteggiare le crisi economiche e di agire per garantire occupazione e diritti sociali.

Arci Jesi-Fabriano invita tutti i cittadini di Jesi a firmare la proposta di Legge di iniziativa popolare che elimina il pareggio di bilancio dalla Costituzione, presso la Segreteria Generale del Comune di Jesi, dal lunedì al venerdì, dalle 8.30 alle 13, e il giovedì dalle 15 alle 18.

Perché eliminare il pareggio di bilancio
Il pareggio di bilancio è sbagliato da ogni punto di vista. Inserire addirittura in Costituzione l’impossibilità di indebitarsi durante una fase recessiva per poi diminuire il debito nella successiva fase espansiva, significa privare i governi di uno dei più efficaci strumenti di politica economica a loro disposizione.

Gli obiettivi della campagna
L’obiettivo delle scelte politiche deve essere il benessere e il pieno riconoscimento dei diritti delle persone. Chiediamo una firma contro politiche di austerità disastrose. Non solo per rimediare a una fallimentare modifica della nostra Costituzione, ma per cambiare le attuali politiche europee e per la costruzione di un diverso modello europeo.

Cosa posso fare io?
Il tuo sostegno è determinante in diversi modi. In primo luogo, ovviamente, ti invitiamo a firmare la proposta di Legge di iniziativa popolare. È poi fondamentale parlare della proposta e farla conoscere, fare girare il link con il sito della campagna tra amici, blog, social network e altro.

Maggiori informazioni su: www.colpareggiociperdi.it

volantino

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Acqua pubblica: report dall’assemblea nazionale e manifestazione

Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua ha organizzato per sabato 15 dicembre a Reggio Emilia una manifestazione nazionale “per la difesa e la gestione pubblica e partecipata dell’acqua e dei beni comuni”. Per tutte le informazioni: www.acquabenecomune.org/raccolt…

Il Forum ha inoltre diffuso un rapporto sugli esiti dell’Assemblea nazionale dei movimenti dell’acqua che si è svolta a Roma tra il 24 e il 25 novembre:

Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ha realizzato la propria assemblea nazionale a distanza di un anno e mezzo dalla straordinaria vittoria referendaria.
La discussione è partita dall’analisi di quest’anno che è stato intenso, segnato dai ripetuti attacchi a tutti i livelli all’esito del voto referendario ed alla volontà popolare espressa da 26 milioni di persone.

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Mancano poche firme per l’ICE in favore dell’acqua pubblica

La raccolta di firme per l’ICE – acronimo di Iniziativa dei Cittadini Europei – in favore del diritto di tutti i cittadini all’acqua potabile e contro la privatizzazione dei servizi idrici sta proseguendo con successo, tanto da aver quasi raggiunto la quota di 50.000 firme. Il numero minimo richiesto all’Italia di 54.750 firme è quindi ormai a portata di mano, ed è necessario solo un ultimo scatto per raggiungerlo e portare così all’attenzione della Commissione europea un tema che riguarda da vicino tutti i cittadini europei.

Chi non l’ha ancora fatto può firmare qui, chi invece ha già firmato e vuole contribuire alla raccolta può scaricare i moduli dal sito italiano, alla pagina www.acquapubblica.eu/le-petizioni, inviando poi i moduli compilati all’indirizzo riportato.

L’acqua è un bene comune, non una merce ! Esortiamo la Commissione europea a proporre una normativa che sancisca il diritto umano universale all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, come riconosciuto dalle Nazioni Unite, e promuova l’erogazione di servizi idrici e igienico-sanitari in quanto servizi pubblici fondamentali per tutti. La legislazione dell’Unione europea deve imporre ai governi di garantire e fornire a tutti i cittadini, in misura sufficiente, acqua potabile e servizi igienico-sanitari. Chiediamo che:

  1. le istituzioni dell’Unione europea e gli Stati membri siano tenuti ad assicurare a tutti i cittadini il diritto all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari;
  2. l’approvvigionamento in acqua potabile e la gestione delle risorse idriche non siano soggetti alle “logiche del mercato unico” e che i servizi idrici siano esclusi da qualsiasi forma di liberalizzazione;
  3. l’UE intensifichi il proprio impegno per garantire un accesso universale all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari.

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L’acqua è un diritto umano, Iniziativa dei Cittadini Europei

Sono già oltre 32.000 le firme raccolte in Italia a sostegno dell’Iniziative dei Cittadini Europei (ICE) per il diritto all’acqua pubblica. Questo strumento consente ai cittadini ed alle organizzazioni della società civile di proporre alla Commissione Europea un’iniziativa legislativa raccogliendo un milione di firme in almeno sette paesi dell’UE nell’arco di 12 mesi. Inoltre per ogni paese è stabilita una soglia minima necessaria a rendere valide tutte le firme, per l’Italia tale soglia è fissata in 54.750 firme entro luglio 2013. Mancano quindi ancora più di 20.000 firme per lanciare la sfida di porre il diritto umano all’acqua e ai servizi igienico-sanitari all’ordine del giorno della politica europea, per costringere a un dibattito pubblico e a una svolta nella politica idrica europea.

Per firmare basta andare su www.acquapubblica.eu, è semplicissimo e bastano pochi minuti.


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“Il mio voto va rispettato”

Il 4 luglio ad Ancona il Coordinamento regionale dei movimenti per l’acqua pubblica delle Marche, di cui Arci Jesi-Fabriano è promotrice, ha consegnato circa 200 reclami a Multiservizi. Nel silenzio assordante di quasi tutti gli organi d’informazione, è stato il lavoro di blog e siti web e la presenza di tanti banchetti riapparsi in varie città della provincia a spiegare che, a distanza di un anno da giugno 2011, dopo la vittoria referendaria, ancora sulla bolletta dell’acqua non è cambiato nulla. Vedere che anche Multiservizi, nonostante la sua campagna accattivante casa per casa, con una spesa non indifferente, con manifesti affissi in tutti i comuni, continui ad essere irrispettosa sia del decreto Presidenziale che della volontà dei cittadini lascia interdetti e genera rabbia. Tante sono le componenti dell’associazionismo che si sono unite in questa battaglia, inviando con raccomandata le lettere di reclamo. Se non saranno le Istituzioni a far rispettare l’esito del referendum con legislazione ed operazioni di contrasto tramite consorzi tra Enti locali, dovranno essere i cittadini e le cittadine a farlo.
Notizia pubblicata anche su ArciReport n.25.


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Sostieni l’ARCI comitato JESI – FABRIANO con il 5 per mille!!!

Sostieni l’ARCI comitato JESI – FABRIANO e le sue attività con il 5 per mille sull’IRPEF!

Nell’ARCI ogni giorno migliaia di donne e di uomini si incontrano, condividono interessi e passioni, scoprono il piacere dell’impegno civile. Organizzano occasioni di socialità e di svago, promuovono la formazione e la cultura. Si battono per i diritti di cittadinanza contro ogni forma di discriminazione. Lavorano per offrire solidarietà e sostegno concreto ai più svantaggiati. Sono parte attiva del grande movimento per la pace e la globalizzazione dei diritti, si impegnano nei progetti di cooperazione a fianco dei popoli del sud del mondo.

Con la tua firma per il 5X1000 all’Arci sosterrai la Pace, la Cultura, la Solidarietà, i Diritti.

Per sostenere l’ARCI comitato JESI – FABRIANO e le sue attività basta firmare nel riquadro apposito (dov’è scritto “sostegno del volontariato, delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni e fondazioni”) sui moduli della dichiarazione dei redditi e poi SCRIVERE [il codice fiscale dell’ARCI comitato JESI – FABRIANO c.f. 82006140428.


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15 miliardi di euro per 134 cacciabombardieri F35: impariamo a contare !

In queste settimane sta crescendo la campagna “Taglia le ali alle armi”, promossa dalla Tavola della pace, dalla Rete disarmo e da Sbilanciamoci, per chiedere al governo e al parlamento di cancellare il programma di costruzione e acquisizione dei cacciabombardieri F35. L’Arci aderisce e partecipa all’iniziativa. Il 25 febbraio è stata indetta una giornata di mobilitazione in 100 piazze d’Italia a sostegno della Campagna.

In un momento di grave crisi per l’Italia, in cui cresce la disoccupazione e mancano le risorse per la scuola, le pensioni, l’assistenza sociale, è vergognoso e del tutto ingiustificato destinare miliardi di euro all’acquisto di sofisticati armamenti, il cui eventuale utilizzo sarebbe peraltro in contrasto col dettato costituzionale. Pensiamo quindi che sia assolutamente sbagliata la scelta del ministro Di Paola di confermare i piani di acquisto (anche se in parte ridimensionati) dei cacciabombardieri F-35 e riteniamo che il Parlamento debba ridiscutere l’intero bilancio destinato alle spese per la Difesa.


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Il 26 novembre in piazza per l’acqua, i beni comuni e la democrazia. Difendiamo l’esito referendario per una politica nuova


 Per salvare l’Italia dalla crisi e dal dissesto provocato da uno sviluppo dissennato serve un investimento grande sui beni comuni, sulla cultura e sulla democrazia. E solo la partecipazione può ridare dignità e valore a una politica nuova, capace di portare il paese fuori dal disastro. Tutto questo è possibile. Lo dimostrano scelte come quella del Comune di Napoli per la ripubblicizzazione dell’acqua. Lo dicono le buone pratiche che coniugano riconversione ecologica, lavoro, ricerca, cultura e partecipazione. Non è obbligatorio sanare i conti pubblici privatizzando, svendendo il patrimonio nazionale, tagliando diritti e lavoro, mettendo a rischio società e territori. E’ vero piuttosto il contrario: il disegno della società sostenibile è dettagliato e credibile. Non si scontra con i limiti imposti dalla crisi globale ma al contrario offre una via maestra per uscirne tutti vivi, vegeti e più felici. Crea lavoro, tanto lavoro, produce benessere e socialità. Ciascuno può portare a questo grande mare del cambiamento la sua goccia d’acqua. Milioni di cittadini sono impegnati direttamente a cambiare modelli e stili di vita, per vivere meglio e consegnare ai fi gli un mondo vivibile. Sono migliaia i circoli dell’Arci impegnati in buone pratiche di sostenibilità ambientale, sociale, culturale, democratica. Anche noi ci opponiamo a qualsiasi tentativo di cancellazione dell’esito referendario, contro la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali e dei beni comuni. Il popolo italiano ha votato per l’acqua pubblica, la volontà popolare va rispettata ed attuata. Il 28 novembre a Durban si aprirà la Conferenza Onu che dovrà tentare di fermare il riscaldamento climatico. Anche la manifestazione del 26 novembre è un bel modo per fare la nostra parte nella mobilitazione globale tesa a salvare il pianeta: con un’altra economia e un’altra società, con più partecipazione e più democrazia.

(26 NOVEMBRE IN PIAZZA)


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L’appello dell’Arci per la giornata di mobilitazione internazionale del 15 ottobre

Per un’alternativa nel segno della giustizia sociale, della dignità, della democrazia

Il 15 ottobre, raccogliendo l’appello degli indignad@s spagnoli, in tanti e tante riempiremo le piazze delle capitali europee. Sarà il giorno dell’indignazione e della protesta di chi si oppone a questo stato di cose,  alla distruzione dei diritti sociali e democratici causata dalle scelte con cui i governi europei stanno affrontando la crisi economica.

Sarà una mobilitazione animata da esperienze, identità e culture diverse, perché nessuno può farcela da solo. Per fermare il declino e costruire un’Europa diversa c’è bisogno anzitutto di ricostruire lo spazio pubblico dei cittadini europei, mettere in campo la forza della partecipazione democratica di donne e uomini, giovani e anziani, lavoratori, studenti e comunità che rivendicano il diritto di decidere sulle scelte che li riguardano.

L’Arci parteciperà alla manifestazione di Roma, con la propria identità e con le proprie proposte, insieme a tanti altri soggetti diversi, organizzazioni sociali, reti, alleanze, gruppi informali, singoli cittadini. E’ un fatto importante, perché in Italia c’è ancor più bisogno di spazi di convergenza e di azione comune fra le forze che cercano di contrastare la deriva in cui sta scivolando il Paese.

Un governo ormai screditato a livello europeo e internazionale e preoccupato solo di mantenersi al potere sta rovesciando sui cittadini tutto il peso del suo fallimento. Ha imposto una manovra economica inutile, sbagliata e profondamente iniqua, coerente solo nella volontà di dividere il Paese e le forze sociali. Un provvedimento che denota l’assenza di strategie per il futuro, non risolve il problema del debito pubblico, non libera risorse per rilanciare gli investimenti, l’occupazione e lo sviluppo ma avrà al contrario effetti recessivi. Soprattutto, una manovra scandalosamente ingiusta sul piano sociale.

Di fronte all’incalzare della crisi, ci si preoccupa solo di far cassa tagliando la spesa pubblica, non tanto quella improduttiva dei finti Enti di natura clientelare, ma particolarmente quella sociale. La conseguenza sarà un massacro ai danni di lavoratori, pensionati, famiglie. I tagli a Regioni e Comuni ridurranno l’accessibilità e la qualità dei servizi pubblici e aumenteranno i tributi a carico dei cittadini; l’annunciata riforma dell’assistenza si trasformerà nella demolizione del sistema pubblico di welfare. Per molti si annuncia un presente più duro, per tanti giovani svanisce ogni prospettiva di futuro.

Hanno scelto di far pagare i più deboli per non toccare gli interessi dei più forti. Logica e buon senso avrebbero imposto di cercare le risorse necessarie col recupero dell’evasione fiscale, di istituire una tassa sulle grandi ricchezze e sui grandi patrimoni immobiliari, di tagliare le spese militari. Non l’hanno voluto fare per non dispiacere al blocco sociale in cui ancora sperano di trovare consensi.

La cricca che ha governato le scelte di questi anni e si è arricchita a danno degli onesti non intende restituire il mal tolto né mettere in discussione le proprie scelte. Impone la totale liberalizzazione delle attività economiche, pretende di reintrodurre per legge l’obbligo di privatizzare i servizi pubblici locali sfidando spudoratamente la volontà popolare espressa col referendum e le regole della democrazia.

C’è poi, nel contesto italiano, l’aggravante della natura antidemocratica di un governo che impedisce la dialettica fra le parti sociali e considera la Carta costituzionale una variabile a sua disposizione. Da tutta la manovra traspare disprezzo per i ceti popolari e volontà di scontro con le rappresentanze sociali. L’articolo 8, che cancella i contratti nazionali e scardina le tutele dello Statuto dei lavoratori, è la prova che si intende usare la crisi come pretesto per attaccare i diritti, dividere e punire i sindacati. Questo governo è un pericolo per la democrazia, per il bene del paese è urgente che se ne vada quanto prima.

La situazione è grave, è a rischio la tenuta del tessuto sociale del paese. Siamo vicini al punto di rottura, a un vero e proprio corto circuito fra sviluppo economico, diritti sociali e democrazia. E’ il frutto delle scellerate politiche liberiste di questi anni, dell’effetto distruttivo della finanziarizzazione dell’economia. La finanza non è più strumento dell’economia produttiva ma un potere occulto in balia di speculatori che decidono quali economie salvare e quali affondare, che attaccano la stessa sovranità degli stati e la democrazia.

I governi non hanno la forza di opporsi ai poteri finanziari o non vogliono farlo, e preferiscono scaricare i costi della crisi sui più deboli. Vorrebbero farci credere che non ci sono altre scelte possibili e fanno appello alla coesione nazionale indicando nella crisi il nemico comune da cui difendersi.

Noi non ci stiamo, perché sappiamo che questa crisi non è un maleficio del destino ma il frutto di precise scelte politiche. E pensiamo che non se ne possa uscire accettando come dogmi indiscutibili le compatibilità imposte proprio dai poteri finanziari che l’hanno provocata. Nemmeno il patto di stabilità può essere un vangelo. Quelle regole non sono intoccabili, vanno discusse e subordinate ad altri vincoli di natura sociale e alle esigenze dello sviluppo economico, sociale e culturale dei territori e delle comunità.

E’ il momento di cambiare strada, con scelte nette e rigorose verso un sistema economico e sociale diverso da quello che ci ha portato dentro questo disastro, nell’orizzonte di uno sviluppo mirato alla riconversione ecologica dell’economia, alla qualità e alla sostenibilità delle attività produttive, ai beni pubblici e sociali.

Non è vero che il risanamento dei conti pubblici e lo sviluppo economico siano incompatibili con l’equità, la giustizia sociale, la partecipazione democratica. E’ questione di scelte. E’ possibile rimettere al centro del modello economico e sociale il lavoro, i beni comuni, i servizi pubblici di welfare, la sostenibilità ambientale, la cultura e l’istruzione, una vera democrazia al servizio delle persone e delle comunità.

E’ possibile costruire l’alternativa di un’altra economia, di un’altra società, di un’altra democrazia. La condizione per farlo è che le scelte sul nostro futuro non siano sequestrate nelle mani di governi subalterni ai poteri economici; che in Italia come in Europa siano le società a farsi protagoniste del cambiamento. Per questo saremo in piazza il 15 ottobre.

L’appello dell’Arci per la giornata di mobilitazione internazionale del 15 ottobre/a>


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L’ITALIA SONO ANCH’IO

L’Italia sono anch’io: la Campagna per i diritti di cittadinanza e il diritto di voto per le persone di origine straniera

Prende il via L’ITALIA SONO ANCH’IO, la Campagna nazionale promossa, nel 150° anniversario dell’unità d’Italia, da 19 organizzazioni della società civile (Acli, Arci, Asgi-Associazione studi giuridici sull’immigrazione, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, Cnca-Coordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza, Comitato 1° Marzo, Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani, Emmaus Italia, Fcei – Federazione Chiese Evangeliche In Italia, Fondazione Migrantes, Libera, Lunaria, Il Razzismo Brutta Storia, Rete G2 – Seconde Generazioni, Sei Ugl, Tavola della Pace, Terra del Fuoco,) e dall’editore Carlo Feltrinelli. Presidente del Comitato promotore è il Sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio.

Scopo della campagna è riportare all’attenzione dell’opinione pubblica e del dibattito politico il tema dei diritti di cittadinanza e la possibilità per chiunque nasca o viva in Italia di partecipare alle scelte della comunità di cui fa parte.

Oggi nel nostro Paese vivono oltre 5 milioni di persone di origine straniera. Molti di loro sono bambini e ragazzi nati o cresciuti qui, che tuttavia solo al compimento del 18° anno di età si vedono riconosciuta la possibilità di ottenere la cittadinanza, iniziando nella maggior parte dei casi un lungo percorso burocratico. Questo genera disuguaglianze e ingiustizie, limita la possibilità di una piena integrazione, disattende il dettato costituzionale (art. 3) che stabilisce l’uguaglianza tra le persone e impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno raggiungimento.

I promotori della campagna si propongono di contribuire a rimuovere questi ostacoli, attraverso un’azione di sensibilizzazione che inizia ora, ma soprattutto attraverso la modifica dell’attuale legislazione che codifica le disuguaglianze. Per questo, dall’autunno 2011 promuoveranno la raccolta di firme per due leggi di iniziativa popolare, una di riforma dell’attuale normativa sulla cittadinanza, l’altra sul diritto di voto alle elezioni amministrative.

Informazioni e materiali

EVENTI E MANIFESTAZIONI