“Quando un muro significa libertà”, mostra sui murales di Largo Allende a Jesi

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Allende Manifesto LSarà inaugurata sabato 8 marzo alle 18 la mostra “Quando un muro significa libertà” dedicata alla valorizzazione dei murales cileni di Largo Salvador Allende a Jesi.

Organizzata dalla sezione di Jesi dell’Istituto Gramsci Marche, dall’Anpi di Jesi, dall’Arci Jesi-Fabriano e dall’Assessorato alla cultura del Comune di Jesi, la mostra è stata realizzata dagli studenti delle scuole superiori della città e avrà luogo al Palazzo dei Convegni di Jesi da sabato 8 fino a sabato 15 marzo, quando si concluderà in concomitanza con un incontro al Teatro “Valeria Moriconi”.

 

Di seguito il programma completo:

Sabato 8 marzo, ore 18.00

Palazzo dei Convegni

Apertura della mostra realizzata dagli studenti del Liceo Artistico “Mannucci” di Jesi e illustrazione dei progetti realizzati, da parte degli studenti delle scuole partecipanti.

Presentazione del programma della settimana e saluto degli organizzatori: Agostino Amedoro per l’Istituto Gramsci Marche, Tullio Bugari per Arci Jesi-Fabriano, Daniele Fancello per Anpi Jesi e Luca Butini, assessore alla cultura del Comune di Jesi.

Gli studenti delle classi delle scuole jesine partecipanti al progetto saranno presenti a Palazzo dei Convegni durante i giorni della settimana di apertura, orario 17 – 20, per illustrare ai visitatori i loro lavori secondo il seguente calendario:

  • Lunedì 10 marzo: Liceo scientifico “L. da Vinci” e Liceo artistico “Mannucci”
  • Martedì 11 marzo: Istituto “Cuppari”
  • Giovedì 13 marzo: IIS “Galilei”
  • Venerdì 14 marzo: ITIS “Marconi” e Liceo artistico “Mannucci”

 

Sabato 15 marzo, ore 10.30

Teatro Valeria Moriconi

Incontro tra le classi che hanno lavorato alla realizzazione dell’iniziativa e due personaggi testimoni di quanto avvenuto in Cile nel 1973 al tempo del golpe: l’ex diplomatico italiano Enrico Calamai e Carlos Viveros, esule cileno e coautore dei Murales di Largo Salvador Allende. Conduce l’incontro Barbara Montesi.

Enrico Calamai, nato a Roma nel 1945, entra nella carriera diplomatica. Nel 1972, a 27 anni, è vice console in Argentina. Inviato in Cile dopo il colpo di stato di Pinochet, riesce a trasferire in Italia 412 cileni (tra cui 50 bambini) che si erano rifugiati nella ambasciata italiana. Tornato in Argentina mette in salvo e fa espatriare centinaia di oppositori alla dittatura militare di quel paese. Nel 2000, in Italia, testimonia nei procedimenti penali contro otto militari argentini responsabili della morte di cittadini italiani. Ha narrato le sue esperienze nel volume: “Niente asilo politico”.

Carlos Viveros, nato a Santiago del Cile il nel 1957, attivo nelle organizzazioni giovanili del Partito comunista cileno, a causa del colpo di stato dell’11 settembre 1973, lascia il suo paese assieme alla sua famiglia. Il padre, esponente comunista funzionario nel governo Allende, e la madre, candidata comunista al Consiglio comunale, sono in grave pericolo. Dal Cile all’Argentina e di lì, in nave, dopo 16 giorni arrivano a Genova. Avrebbero dovuto proseguire per la Svizzera ma l’allora Partito Comunista Italiano offre loro l’opportunità di restare in Italia. Viene a Jesi, venticinquenne, per realizzare i murales; al disegno iniziale collaborano il cugino Luis Sanchez e l’amico Ricardo Figueroa. Con quest’ultimo realizza l’opera assieme ad un altro ragazzo di cui si ricorda, purtroppo, solo il nome: Francisco. Carlos Viveros vive e lavora a Campi Bisenzio, vicino Firenze.

3 risposte a ““Quando un muro significa libertà”, mostra sui murales di Largo Allende a Jesi”

  1. […] Quando un muro significa libertà: mostra sui murales cileni di largo Allende a Jesi. Personalmente ho esperienza diretta soltanto dei murales (o “murals”, in lingua inglese) di Belfast e di Derry nell’Irlanda del Nord, e di altri visti a Vitoria-Gasteiz e in altri luoghi del paesi baschi. I murales nascono in Messico all’inizio del Novecento, in una stagione e in un contesto sociale e culturale molto caratterizzato, in senso rivoluzionario e di grandi cambiamenti e aspettative. Tra gli artisti più noti vi sono Orozco, Rivera e Siqueiros, che proponevano non solo un’arte comprensibile e al servizio di un popolo, ma anche veicolo di messaggi  sociali e politici che nascevano direttamente dalle esperienze di quelle lotte, e per questo costitutivi di una presa di coscienza sociale dal basso. Il loro valore estetico si salda dunque fin dall’inizio con il valore sociale. I murales, diversamente dalle altre forme di arte murale o di strada sviluppatesi in seguito, non hanno un carattere figurativo o astratto tendenzialmente aperto, senza fine,  ma rappresentano un soggetto compiuto, finito, con scene riferite a episodi reali di una comunità o rappresentativi di una storia o di una tradizione, e utilizzando in genere una tecnica di esecuzione “facile” e “veloce” e colori che offrono una cromaticità molto marcata e brillante, di fruizione immediata. Soprattutto interagiscono con la parete, adattandosi  o inglobando le superifici “estranee”, come finestre, sporgenze, o altro. Dal Messico si sono diffusi nel nord america e in Europa, soprattutto tra le comunità di minoranza, ad esempio quelle giamaicane o portoricane, incontrando lungo la sua strada anche altri artisti importanti, ma sempre legati a questa dimensione sociale e di lotta. Non mancano nemmeno, nel corso della storia, l’utilizzo di pitture murali da parte dei regimi, compreso quello fascista, per veicolare propaganda, oppure anche espressioni artistiche “alte” senz’altro di interesse, ma ciò che distingue il murales anche sotto il profilo estetico deriva direttamente dal suo carattere spontaneo, capace di dare espressione o di veicolare un messaggio dal basso. Quelli che ho visto e ammirato per le strade di Belfast e di Derry, che erano espressione non di una sola parte ma di entrambe le “comunità” contrapposte durante la Troubble, ad esempio è possibile distinguerli non solo per i diversi soggetti che propongono ma anche in senso estetico, per i colori che prevalgono e per il tratto del disegno. Differenze evidenti anche per uno sguardo esterno come lo era il mio. […]

  2. […] partecipati. Non dico  nulla qui dei promotori e degli organizzatori, basta andare a vedere la locandina di promozione, nel quale si ricorda comunque che la mostra resterà aperta fino al 15 marzo, ci saranno durante […]

  3. […] Quando un muro significa libertà: mostra sui murales cileni di largo Allende a Jesi. Personalmente ho esperienza diretta soltanto dei murales (o “murals”, in lingua inglese) di Belfast e di Derry nell’Irlanda del Nord, e di altri visti a Vitoria-Gasteiz e in altri luoghi del paesi baschi. I murales nascono in Messico all’inizio del Novecento, in una stagione e in un contesto sociale e culturale molto caratterizzato, in senso rivoluzionario e di grandi cambiamenti e aspettative. Tra gli artisti più noti vi sono Orozco, Rivera e Siqueiros, che proponevano non solo un’arte comprensibile e al servizio di un popolo, ma anche veicolo di messaggi  sociali e politici che nascevano direttamente dalle esperienze di quelle lotte, e per questo costitutivi di una presa di coscienza sociale dal basso. Il loro valore estetico si salda dunque fin dall’inizio con il valore sociale. I murales, diversamente dalle altre forme di arte murale o di strada sviluppatesi in seguito, non hanno un carattere figurativo o astratto tendenzialmente aperto, senza fine,  ma rappresentano un soggetto compiuto, finito, con scene riferite a episodi reali di una comunità o rappresentativi di una storia o di una tradizione, e utilizzando in genere una tecnica di esecuzione “facile” e “veloce” e colori che offrono una cromaticità molto marcata e brillante, di fruizione immediata. Soprattutto interagiscono con la parete, adattandosi  o inglobando le superifici “estranee”, come finestre, sporgenze, o altro. Dal Messico si sono diffusi nel nord america e in Europa, soprattutto tra le comunità di minoranza, ad esempio quelle giamaicane o portoricane, incontrando lungo la sua strada anche altri artisti importanti, ma sempre legati a questa dimensione sociale e di lotta. Non mancano nemmeno, nel corso della storia, l’utilizzo di pitture murali da parte dei regimi, compreso quello fascista, per veicolare propaganda, oppure anche espressioni artistiche “alte” senz’altro di interesse, ma ciò che distingue il murales anche sotto il profilo estetico deriva direttamente dal suo carattere spontaneo, capace di dare espressione o di veicolare un messaggio dal basso. Quelli che ho visto e ammirato per le strade di Belfast e di Derry, che erano espressione non di una sola parte ma di entrambe le “comunità” contrapposte durante la Troubble, ad esempio è possibile distinguerli non solo per i diversi soggetti che propongono ma anche in senso estetico, per i colori che prevalgono e per il tratto del disegno. Differenze evidenti anche per uno sguardo esterno come lo era il mio. […]

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